Con una recentissima sentenza la Corte d’Appello di Torino ha riconosciuto l’esistenza di un conflitto di interesse nell’investimento avente ad oggetto titoli (obbligazioni Argentina) collocati da una società facente parte dello stesso Gruppo di appartenenza della banca negoziatrice.

Secondo la Corte Piemontese tale modalità di negoziazione integra un interesse all’esecuzione dell’operazione di investimento che va al di là di quello che sarebbe altrimenti individuabile in qualsiasi altro intermediario autorizzato non vincolato a quel rapporto infragruppo ed in conflitto con l’interesse del cliente avendo essa per tale ragione un interesse qualificato a far confluire nei portafogli dei clienti di titoli comunque collocati anche dal proprio gruppo.

L’inosservanza, dunque, della norma disciplinante la materia di cui all’art. 27 del Regolamento Consob n. 11522/1998, che prevede obblighi di forma e di sostanza da rispettare laddove il soggetto intermediario intenda realizzare un’operazione di investimento in conflitto di interessi, pena il divieto di effettuare l’investimento stesso, comporta una violazione tale da giustificare una condanna al risarcimento del danno.

Sotto il profilo del nesso causale, il Giudice dell’impugnazione conferma dunque i principi già espressi sul punto dalle SS.UU. della S.C., con la sentenza del 19.12.2007 n. 26724 (ribaditi anche nella sentenza “gemella” n. 26725 del 19.12.2007), ritenendo il danno diretta conseguenza della violazione di un divieto imperativo di agire, senza che il Giudice debba provvedere alla verifica della situazione che si sarebbe potuto verificare eventualmente laddove la banca avesse segnalato il conflitto di interessi.

Ciò che rileva, infatti, ai fini della sussistenza del nesso causale è la violazione del divieto stesso tale per cui il nesso di causa è da ritenersi in re ipsa.

 

Si riporta uno dei passaggi centrali della sentenza in commento:

 

 

In fatto, non è controverso che l’emissione obbligazionaria oggetto di causa (titoli Argentina 9% 2000-2003) era stata collocata da un pool di società di cui faceva parte anche la Banca di Intermediazione Mobiliare S.p.a. appartenente al Gruppo Bancario Sanpaolo IMI S.p.a., banca negoziatrice dei titoli medesimi.

Come è già stato evidenziato da questa Corte con la sentenza 4.4.2011, n. 495, resa con riferimento a fattispecie del tutto analoga all’attuale, nel dare attuazione ai principi dettati dall’art. 21 D.Lgs. n. 58/1998 l’articolo 27 del Regolamento Consob n. 11522/98 dispone che:

«1. Gli intermediari autorizzati vigilano per l’individuazione dei conflitti di interessi; 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione. Ove l’operazione sia conclusa telefonicamente, l’assolvimento dei citati obblighi informativi e il rilascio della relativa autorizzazione da parte dell’investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su altro supporto equivalente. 3. Ove gli intermediari autorizzati, al fine dell’assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2, utilizzino moduli o formulari prestampati, questi devono recare l’indicazione, graficamente evidenziata, che l’operazione è in conflitto di interessi».

Da tale normativa primaria e secondaria si desume una nozione specifica ed “estesa” di conflitto di interesse, non sovrapponibile a quella propria della rappresentanza contrattuale ex art. 1394 c.c.

L’interesse in conflitto può essere anche “indiretto” e derivare, tra l’altro, anche da rapporti interni al gruppo di appartenenza dell’intermediario ovvero da qualsivoglia rapporto di affari, propri o di società del gruppo.

Vi è poi una puntuale descrizione delle modalità con le quali la situazione di conflitto deve essere fatta emergere, in particolare mediante segnalazione per iscritto di particolare evidenza grafica nel caso di ordini su moduli o formulari prestampati. La finalità perseguita da tale disciplina non comporta un divieto di compiere l’operazione in conflitto di interessi, ma si limita ad imporne la segnalazione in modo formale e una volta raccolta l’autorizzazione del cliente e reso questi consapevole della situazione di conflitto, l’operazione può essere validamente svolta.

Il rigore delle previsioni normative più sopra richiamate si esplica, quindi, da un lato nel recepimento di una nozione ampia di conflitto e, dall’altro, nell’imposizione di determinati accorgimenti formali per garantirne la conoscenza da parte del cliente.

Nel caso di specie, la compresenza operativa del gruppo bancario di appartenenza tanto nella fase di collocamento, quanto in quella di negoziazione dei titoli ha, dunque, integrato la fattispecie di conflitto delineata dall’art. 27 Regolamento Consob 11522/1998.

In particolare, la circostanza che la banca negoziatrice facesse parte dello stesso gruppo di una delle società collocatrici ha integrato un interesse all’esecuzione dell’operazione di investimento che va al di là di quello che sarebbe altrimenti individuabile in qualsiasi altro intermediario autorizzato non vincolato a quel rapporto infragruppo ed in conflitto con l’interesse del cliente avendo essa per tale ragione un interesse qualificato a far confluire nei portafogli dei clienti di titoli comunque collocati anche dal proprio gruppo.

Inoltre, come evidenziato dalla citata sentenza di questa Corte, l’emissione poteva essere effettuata unicamente a favore di investitori istituzionali, con la conseguenza che l’assegnazione dei titoli al pubblico dei risparmiatori “privati” presupponeva necessariamente l’intervento di intermediari di secondo livello (quali la Banca ora appellata) abilitati alla relativa negoziazione: proprio per il vincolo di operatività esclusivamente istituzionale i titoli oggetto di causa vennero negoziati in contropartita diretta con la conseguenza che la Banca è stata il necessario “anello di trasmissione”.

Ciò premesso, nell’ordine del 24.8.2001 (v. il doc. 1 prodotto in primo grado) non vi è alcuna indicazione in merito alla situazione più sopra descritta e l’autorizzazione del cliente ad eseguire l’operazione non è ad essa correlata, ma al fatto che essa avrebbe dovuto essere eseguita fuori dai mercati regolamentati, che è profilo del tutto diverso e dal quale non poteva certo evincersi la situazione di conflitto.

La mancata segnalazione al cliente di tale situazione e la mancata astensione della Banca al compimento della relativa operazione rappresentano, dunque, fonte di responsabilità risarcitoria.

Quanto al nesso causale con il danno lamentato (oggetto del quinto motivo), occorre considerare che -come si è appena accennato- la Banca non avrebbe dovuto dar corso all’operazione con la conseguenza che il cliente avrebbe evidenziato il danno insito nella perdita della quasi totalità del capitale investito: deve, dunque, aversi riguardo alla situazione obiettivamente accertata ed alla violazione del precetto di astensione e non alla situazione che si sarebbe eventualmente potuta determinare nell’ipotesi in cui la Banca avesse provveduto alla segnalazione del conflitto e dandosi per scontato che il cliente avrebbe comunque impartito l’ordine di acquisto (in materia, v. i principi dettati dalle SS. UU. Della S.C. con la sentenza 19.12.2007, n. 26724). SENTENZA 1165 2014

 

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